Volle affrontare il più grande dolore, il lutto più straziante quello della persona morta e ancora in vita.
Volle combattere i mille fantasmi che l’accerchiarono, torturatori impalpabili, sadici incorporei che da quel giorno affollarono la sua mente.
Volle strenuamente resistere all’odio, al cieco furore e alla rabbia pura.
Volle perfino negare l’atavico istinto a restituire il dolore, il primordiale richiamo ad affogare l’offesa nel sangue, ad impregnare di lacrime dell’usurpatore la terra che fu costretto a lasciare.
Volle sposare il perdono perché tutta la vita si era preparato a chinare il capo di fronte al suo carnefice, perché per giorni, mesi, anni aveva studiato alla scuola della pietà.
Volle in quel modo mantenersi integro, lasciarsi intatto e fare l’amore con la vita fecondando il cielo.
Volle soprattutto continuare a divenire migliore, ad alimentarsi di quell’estrema sofferenza per innalzare il suo spirito e a cibarsi di ogni singolo atomo di dolore senza alcun anestetico.
Volle, volle, volle!
Ma perdono e vendetta si dichiararono guerra. Scavarono trincee nella sua anima, si assaltarono senza pietà nelle sue viscere.
Volle, volle, volle!
Morirono così milioni di pensieri in entrambi gli eserciti, un giorno cadeva un’idea di violenza, il giorno dopo un’altra di clemenza e così per secondi minuti ore giorni e anni.
Nessuno vinse e nessuno perse poiché capì che sarebbe stata la sua grande guerra interiore: per sempre!
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