Una selva di corpi di carne vera di umani fatti di acqua che sguazzano nell'acqua e nel cloro. Tanti corpi di sangue che pulsa e sudore che cola lungo strade di pelle che conducono in basso. Corpi posti nello spazio in una strabiliante corporeità svestita, una fisicità anatomica dopo un inverno e una primavera di rivestimenti per quanto vari ma pur sempre coprenti. Tutto questo disvelamento improvviso: un trionfo di pelle emersa dal letargo dei mesi freddi. Corpi su corpi stesi sotto il sole, altri immersi nell’acqua, alcune figure ferme in aria nella sospensione di un tuffo.
Il mio grande stupore, dovuto alla disabitudine verso la realtà, sentimento
comune ai più nell’era del metaverso, di vedere esseri umani in un mondo tangibile
a tre dimensioni, addirittura di sentirne l'odore e di ascoltarne il chiacchiericcio
spontaneo e non mediato da “scritte edulcorate copia e incolla citazioniste
pescate nella rete”.
Non vi è la posa degli organismi parcheggiati nei "server" in
posture perfette e ricercate, dove si evidenzia il bello e si nasconde il
brutto della fisicità come della vita stessa. Al contrario qui, oggi, nella
domenica in piscina, ad onta di ogni mascheramento virtualoide i filtri
applicati sono solo quelli delle creme solari. La parola, l'odore, la
gestualità, la comunicazione intrafamiliare, le cibarie divorate sotto gli
ombrelloni dell'ora più calda, il solito lamentìo del bambino annoiato
dell'attesa digestiva per il prossimo bagno, tutto questo è vero e a tratti
"antico", perché ciò che non può essere camuffato dal magico mondo
della "app-landia" sa per alcuni di poetico e per altri di vecchio e
disdicevole. Mi corre l'obbligo, ora, di una urgentissima digressione personale
sul mio scrivere del mondo in questa epoca. Per me, giunti a questo nodo della
storia, non vi è scampo dal narrare l'umanità che osservo in una doppia
dimensione: quella reale e quella virtuale. Non me ne vorrete, voi che siete
giunti fino a questo punto della lettura, probabilmente nessuno, se insisto sul
fatto che la descrizione del reale non può fare a meno della parallela e
illuminante narrazione delle vicende virtuali dello stesso soggetto
protagonista della scrittura. Non riesco a sfuggire, perché ne percepisco
l'importanza, all'esigenza di un protagonismo letterario del “doppio virtuale”
di ogni individuo da me osservato nella realtà. Come si può scrivere della
realtà ignorando la rappresentazione che della stessa se ne fa nella
virtualità, e a maggior ragione nella misura in cui, per tanti, quest'ultima è
forse più importante della verità.
Non potrò dunque esimermi da una perenne doppia narrazione, perché doppia è la
rappresentazione di sé di ogni individuo: la carnalità del bipede a tre
dimensioni che si staglia di fronte al mio sguardo e la eterea posa costretta
nel "post". Già il post, quello che pubblichiamo con il terribile
verso "postare", che poi deriva dall'inglese "to post"
ovvero spedire o inviare. A chi lo spediamo? Al server dello spazio web che in
base alle regole stabilite decide di pubblicare o meno il contenuto da noi
postato. Quindi mi correggo, anche io caduto nell'equivoco poche righe fa: non
siamo noi a pubblicare! Ma ecco che il latino, almeno etimologicamente mi corre
in aiuto giusto per perorare la mia causa. Infatti in latino post significa
"dopo" e anche "dietro", ed è proprio strano e curioso che
tutto ciò che si rappresenta su un social è sempre "dopo" e
"dietro" la realtà. “Dietro” addirittura inteso come ciò che è
nascosto. L'infelicità motore del pensiero, delle arti e delle rivoluzioni,
oggi viene nascosta dietro le "pose" da selfie con sfondo mare,
aperitivo o figli perfetti. Tanta felicità nasconde gli umani patimenti! Accidenti
devo proprio essermi allungato con questa digressione, ho esagerato degenerando
nella sociologia applicata agli stilemi narrativi e scadendo velocemente nel
facile luogo comune. Una noia mortale perfino per me che l'ho appena scritta e
senza fine di lucro per giunta. Sarà un caso di masochismo letterario? Esiste?
Non saprei ma è meglio tornare velocemente al tema della mia domenica in
piscina, prima che questo "post" diventi un atto di solipsismo.
La domenica in piscina, quella di oggi, è interclassista perché tutti hanno
caldo, specie in questa canicola, e l'ubicazione dell'impianto natatorio è
raggiungibile facilmente dai quartieri ricchi, dalle strade residenziali della
classe media e perfino dai palazzi dormitorio dell'estrema periferia. Eccomi
quindi in un "melting pot" di famiglie con figli, coppie senza figli,
giovani in gruppo ancora lontani da impegni sentimentali, nonni con nipoti,
nonni senza nipoti, padri single, madri single e ogni altra configurazione
possibile. C'è la famigliona patriarcale con nonni figli e nipoti, tutti uniti,
coesi come un'armata del legame di sangue e alla faccia della famiglia nucleare
atomizzata e isolata dagli avi.
C'è la famiglia padre madre e un figlio, massimo due per gli impavidi, dove
vedo del malumore malcelato, quasi una fatica nella divisione dei ruoli
genitoriali compensata da un impegno e una disciplina che tende verso il bene e
l'armonia.
Ci sono uomini e donne che portano con eleganza la loro corpulenza, una grazia
figlia dell'accettazione di un decadimento del corpo che tanto prima o poi
arriva e quindi meglio godersi la vita e le gioie del cibo.
Ci sono uomini e donne scolpiti dalla palestra e con la pelle decorata da
tatuaggi sempre più grandi. Alcune di queste donne hanno labbra gonfie e seni
passati dalle mani del chirurgo. Un'estetica contemporanea dove si combatte
contro la natura, in una guerra contro il tempo e il cronometro epidermico.
Ci sono quelli che leggono, o meglio non riescono a leggere un libro vista
la confusione, così da trasformare la copertina in un ornamento distintivo.
Ci sono quelli che non leggono e non se ne fanno un cruccio e beati loro!
Non c’è nessuno che legge il quotidiano di carta, ormai estinto, quando
nella mia memoria ancora risuona il rumore di quelle grandi pagine mosse dal
vento estivo.
Osservo e penso a tutto questo universo di varia umanità raccolto intorno
ad una grande buca piena d'acqua. Rifletto sull'eterogenesi dei fini e dunque
sulle conseguenze non intenzionali di azioni intenzionali: questa eterogeneità
che si fa comunità pacifica attorno a una pozza d'acqua rinfrescante. Questo
potenziale "caos" di gruppi in perenne conflitto nel pubblico
dibattito, posti sulle barricate di schieramenti politici opposti, ricondotto
all'ordine dalla priorità di sfuggire al colpo di calore. La guerra civile
un'altra volta, per oggi rinfreschiamoci! Ecco, lo sapevo, tutti questi
pensieri sul conflitto e sulle differenze e non ne posso mai fare a meno. Ci
vorrebbe un elemento poetico per sua natura ecumenico, e come lo desidero
avviene. Una folata di vento solleva un tovagliolo di carta che vola e sale in
alto sulla piscina. Il tovagliolo veleggia per qualche secondo, poi si ferma
per un attimo e precipita lentamente. Un bimbo urla e corre per prendere il
tovagliolo planante al volo prima che tocchi terra. Si lancia e lo prende
urlando di gioia. Corre e grida: «Ho preso Dio».
Giuro, è accaduto veramente.
Copyright © scritto e fotografato da martinedenbg.

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