Il corpo disteso e coperto da foglie e terriccio, nel dormire sprofondato, accoglieva la carezza del lieve movimento d’aria, tiepido e leggiadro come quel dolce oblio sonnolento che aveva interrotto i suoi patimenti.
In quel dormire così soave, mente e corpo, istinto e ragione, fino a poco prima completamente sconnessi, si abbracciavano in lui nel riposo diurno.
Intorno alle sei del pomeriggio, dopo quasi otto ore nella dimensione dell’assenza totale di coscienza del sé, pur continuando a dormire, un incubo arrivava a turbare quel respiro regolare di metronomo ad aria.
Lui era un pupazzo bianco con le fattezze da uomo adulto ad una dimensione, come fatto di un foglio bianco ritagliato e aveva sotto i piedi la scritta papà.
Era di fronte alla finestra del soggiorno di casa, e sentiva tutta quella inconsistenza di uomo ritagliato di carta che oscilla e barcolla e fatica a tenere in piedi il suo corpo piatto e senza profondità. In più, la scritta “papà”, che spiccava alla fine dei piedi, bloccava ogni possibile movimento.
Osservava la macchina di famiglia parcheggiata all’interno delle strisce bianche del piccolo cortile condominiale. In realtà era costretto ad osservarla, nella condizione d’immobilità e precarietà in cui si trovava. Si sentiva di carta e avvertiva anche un qualcosa di colloso sulla schiena.
Sul lunotto posteriore della macchina, erano posti gli adesivi dei componenti della sua famiglia. Ricordava quanto era stato contrario a questo atto di follia autocelebrativa che la moglie aveva voluto commettere, nonostante le sue argomentazioni contrarie, incollando gli adesivi papà, mamma, Luca, Martina e pure quello del cane Pallino, sul retro della loro autovettura.
Rievocava sempre sognando, di come odiava gli altri che avevano commesso lo stesso gesto che lui riteneva abietto, e così rammentava il suo sentirsi spregevole come loro, visto che portava in giro per la città il manifesto dell’estremismo familistico ridotto a mera apparenza.
Riandando a quei giorni e vivendoli nel sogno notava un qualcosa di diverso, un particolare che gli sfuggiva. Finalmente, guardando con maggiore attenzione, l’adesivo con la scritta papà era scomparso.
A quella vista, la consolazione per essere stato tolto da quella patetica rappresentazione, mutava subitanea in terrore vedendo le altre figure staccarsi e prendere vita, balzando in piedi e acquistando dimensioni reali.
Quei pupazzi erano dunque come lui in quell’incubo. Bianche figure ritagliate nella carta ciondolanti e con le scritte sotto i piedi.
Mamma, Luca, Martina e il cane Pallino sotto forma di sagome di carta ritagliate, saltellavano spinte dal vento, ascendendo come aquiloni verso la finestra da dove lui, immobile e atterrito, osservava l’inquietante svolgersi degli eventi.
A quel punto, mentre un fragore di vetri annunciava l’esplosione della finestra, le quattro figure già lo circondavano svolazzando in cerchio nella stanza. Lo colpivano con estremità di carta taglienti, scendendo su di lui in picchiata dall’alto del soffitto, per poi riprendere quota e di nuovo attaccarlo fino al punto da ridurlo in coriandoli.
Il suo corpo di mille brandelli cartacei giaceva agonizzante sul pavimento e loro, ridendo soddisfatti, lo guardavano dal soffitto dove si erano attaccati come fanno i pipistrelli nelle caverne.
Una foglia, fuori dalla dimensione onirica, realmente si staccava dall’alto di un ramo e planando lentamente nell’aria cadeva verso di lui, toccandogli il viso e destandolo da quell’incubo.
Gli occhi si aprirono sul buio di quel tardo pomeriggio autunnale, nell’ora del ritorno a casa per gli altri, quelli fuori dal bosco, ormai così diversi da lui.
Mentre si destava dal sonno, scuotendosi tutto quel fogliame e terriccio dal corpo nudo, togliendosi la sua coperta naturale di dosso, pensava ai suoi colleghi accalcati negli autobus, pigiati nei vagoni di treni e metropolitane, inscatolati nelle autovetture in strade trafficate, così intenti a tornare a casa per poi ricominciare la stessa recita il giorno dopo.
Loro sarebbero andati a dormire e avrebbero respirato il caldo tepore del riscaldamento domestico.
Lui, al contrario, si preparava alla seconda notte di veglia e già i sensi si acuivano, come di animale pronto alla lotta per sopravvivere in quel bosco così vicino alla città ma così lontano dalla vita che aveva conosciuto fino ad allora.
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