Il suolo del sentiero che lo portava dalla sua dimora sotterranea nel fitto del bosco era un tappeto autunnale di foglie cadute miste a terra e pozze d’acqua, così che la pianta dei piedi affondava ad ogni passo in un’umida orma fangosa.
L’incedere su quel terreno, innaturale rispetto alle abituali distese di asfalto, ma perfettamente normale in un ambiente incontaminato era ancora goffo e instabile.
Il fatto di dover di nuovo imparare a camminare, e poi a correre, aggiungeva senso alla rinascita che stava affrontando.
Pensava proprio a questo mentre sgraziato cercava di mantenere l’equilibrio su quella morbida ma infida superficie.
La palingenesi del sé era totalizzante.
Vivere nudi, dormire il giorno e stare svegli di notte, procacciarsi l’acqua da pozze putride, cercare di sopravvivere come un animale abbandonato in un ambiente sconosciuto, erano prove di puro istinto di sopravvivenza e tutto quello che era stato prima, tutte le abilità apprese nel corso della sua vita si rivelavano completamente inutili.
Quella seconda notte passava in un allenamento a camminare in un avanti e indietro lungo il sentiero che partiva all’altezza della sua dimora sotterranea, per qualche centinaio di metri fino a un grosso masso ricoperto di radici.
A un certo punto si chinava naturalmente in avanti abbandonando la posizione eretta e gattonando come un quadrupede.
Riprendeva a tratti la posizione del bipede solo per guardarsi intorno e scorgere eventuali pericoli.
Aveva immaginato quella seconda notte, spinto dal digiuno che, a parte l’acqua, si prolungava ormai da molte ore, come una ricerca forsennata di qualche forma di cibo da ingerire.
Prevaleva invece l’esercizio di camminare su quel fogliame fangoso a piedi nudi senza scivolare e barcollare.
Come quegli animali che appena usciti dal ventre della madre, a differenza degli esseri umani, dedicano il primo sforzo ad alzarsi e muoversi, anche lui richiamato da questo atavico gesto di un’altra specie, dimenticava la fame per dare priorità al movimento.
Muoversi agevolmente in quell’ambiente era la prima abilità da apprendere.
Senza quella capacità non poteva neanche lontanamente ambire a trovare cibo e tutto ciò che poteva servire per sopravvivere.
All’ennesimo passo di quell’avanti e indietro di orme fangose, la notte moriva trafitta da una striscia dorata apparsa d’improvviso appena sopra l’orizzonte, e quella luce era il segnale di tornare nella sua dimora sotterranea.
Senza pensare, come in un riflesso pavloviano, già si aggrappava alle radici per scendere dal sentiero fino al fondo del suo rifugio.
Mentre il bosco si risvegliava illuminato dal giorno, il suo corpo era già ricoperto di foglie adagiato nel letto di terra.
Il soffitto di rami, cielo, nebbia e nuvole era l’ultima visione prima del sonno.
Ora dormiva immerso nella natura più profonda completamente al riparo dal mondo.
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